Progetto per
la condivisione
delle attività di ricerca e
di sperimentazione
didattica, dedicato
alla scuola secondaria
di primo e secondo grado

 

Interviste improbabili - Martin Lutero
Note biografiche della docente: Adriana Vasaturo

 



Adriana Vasaturo

Parti di una storia
Una storia non nasce quando ti chiedono di raccontarla, ma quando te lo chiedono si mette in moto un carico di parole che ne definiscono i contorni. Le emozioni nella rievocazione fanno da colonna sonora e disegnano le mura su cui si ricostruiscono i fatti, in un intreccio che è unico per il momento in cui avviene.

La storia così come si racconta ora, non può avere uguali, non è quella che tu stesso racconteresti domani.

Oggi io sono una professionista in formazione, consapevole che tutto ciò che deve imparare non può prescindere da ciò che ha già imparato in passato,

attenta a non usare con presunzione quel passato, pronta ad accogliere il nuovo con umiltà, ma mostrando e pretendendo rispetto per una formazione costruita con sacrificio e che ha dato forma e senso ad una professione.

Sono approdata poco più di un anno fa alla Scuola secondaria di primo grado, dopo venticinque anni di insegnamento nella Scuola dell’infanzia, anni di investimento personale e professionale.

Un incontro traumatico col nuovo, con ciò che non è noto, che non è familiare, ma un’occasione per rimettersi in gioco; un’opportunità per incontrare il mondo dell’educazione in forme espressive diverse, in un altro contesto, dove cambia l’approccio, l’età, il tipo di relazione. La fatica più grande è stata proprio fare i conti col “sembra tutto diverso”, con l’impressione di dover ricostruire completamente un’identità professionale, per scoprire, poi, pian piano, che il punto d’incontro è nella “materialità educativa” (Riccardo Massa), cioè nel rapporto tra spazi, tempi, corpi e le molteplici connessioni con la materialità della vita, con gli affetti, con le pratiche, con tutto ciò che crea connessioni tra esperienze, con ciò che dà il senso della continuità tra quello che nel mondo dell’educazione rappresenta l’inizio di un cammino di crescita (la scuola dell’infanzia) e quello che è solo una tappa diversa del percorso di crescita stesso (scuola secondaria di primo grado).

Ogni giorno faccio i conti con la fatica di diventare padrona della disciplina che insegno, alleno abilità che non avevo avuto ragione di allenare finora; è ogni giorno un provarsi, un osservare mentre mi sento osservata e giudicata, un continuo ricercare il modo per correggere il tiro, per scoprire e migliorarsi.

In un contesto in cui non avrei mai immaginato di poter essere a questo punto della mia vita, ogni mattina ritrovo il meraviglioso e faticoso mondo dell’educazione, dove si educa alla vita soprattutto, dove la relazione conta e conta molto più di quanto possa apparire agli occhi di chi, come me, viene dal luogo della prima infanzia.

Resta un lavoro di cura, certo ad un livello diverso, ma che non può aver ragione di esistere senza quella cura autentica che c’è dietro il tentativo di svelare, dietro la curiosità che spinge a scavare, dietro le strategie che si adottano per provare a rivelare abilità, talenti, modi di essere e di saper stare al mondo.

L’età dei ragazzi è diversa, ma il bisogno di ascolto resta, resta la cura per la relazione, di cui sento di essere responsabile più di prima in quanto educatore; rimane in me ferma la convinzione che il piacere nasca dalla motivazione, dal senso che i ragazzi attribuiscono alle proposte, le quali, come diceva Bruner, dovrebbero “perturbare la quiete”, far nascere la curiosità, affinché essi siano protagonisti attivi del processo di apprendimento.

Tutto ciò è facile da dire, è facile per ribadire a se stessi quali sono i principi saldi su cui si fonda il proprio modo di lavorare, ma anche di vivere, per quel legame profondo che lega la biografia professionale a quella personale. Spesso, però, mi ritrovo a fare i conti con la frustrazione, perché quello che funziona in un contesto, in un tempo, con un gruppo, non è adeguato né funzionale altrove.

È faticoso scontrarsi con la rigidità di certi schemi, che caratterizzano un modo di fare scuola che non condivido e a cui non voglio adeguarmi in maniera passiva, dove ancora prevale la lezione frontale, dove la programmazione rigida non dà spazio all’idea progettuale, alla flessibilità e all’analisi consapevole delle fasi di un progetto, che deve essere vissuto, provato, monitorato, la cui scrittura è solo la sua parte finale, dove la fine non è altro che il punto da cui ricominciare.

Questo è quello da cui vengo, quello su cui ho investito, quello in cui ho imparato a credere e a volte ho la sensazione che “il sistema” mi chieda di dimenticarlo; è a quel punto che torna forte la necessità di lavorare per valorizzare le esperienze che mi hanno portato fin qui.

Lasciare le proprie certezze, tutto ciò che si crede di saper fare, di saper gestire, tutte le consapevolezze, i limiti riconosciuti, le virtù che l’occhio di chi te le riconosce finisce per dare per scontate, è difficile; lasciare tutto ciò che è dato, che è certo è faticoso, ma ti costringe ad aprire il cassetto delle risorse, a scegliere quelle da rimettere in gioco.

Mi era già capitato quando, seguendo il cuore, avevo lasciato il sicuro mondo delle radici e degli affetti per far nascere la mia famiglia, e ho scoperto anche lì che ogni giorno si cerca nelle proprie radici la forza per volare in altri luoghi della vita.

Ho scoperto che ho svelato a me stessa e agli altri potenzialità e limiti che non credevo esistessero in me, finché non ti viene chiesto di tirare fuori dal cassetto delle risorse quelle mai sperimentate, non puoi sapere fin dove puoi spingerti. Non si spiegherebbe altrimenti il modo in cui provo a stare al mondo oggi, considerando l’immobilità che ha caratterizzato gran parte della mia vita, costrizione dettata dai luoghi in cui ero vissuta, dalla cultura in cui si inseriva il mio tentativo di emergere; ma niente può e deve essere raccontato come determinato da certe esperienze, perché se le occasioni ti aprono finestre su nuovi scenari la libertà di scegliere di viverli deve essere proporzionale alla capacità di perdonare e perdonarsi per l’immobilismo in cui si era rimasti incastrati prima. Solo così si vive “addizionando le esperienze”, facendone mattoni utili alla costruzione della propria crescita.

La vita è fatta di passaggi, di cuciture, di ponti tra un’esperienza e un’altra, di ricerca, ma anche di rispetto e riconoscenza per ciò che abbiamo vissuto e ciò che ci è dato di vivere.

È possibile contattare Adriana Vasaturo attraverso l'indirizzo internet
della redazione scientifica di Ididlab: infogestione@infogestione.com

Sezioni collegate
 
 

Informazioni su questa pagina.
Titolo: "Note biografiche del docente" - Codice: I170111.1800.DDE.AR.man/IIDI1703140913MANa2 - Autore:
INFOGESTIONE - Data di pubblicazione e di ultimo aggiornamento: 31/01/2017 - 15/03/2017.
INFOGESTIONE di Gian Stefano Mandrino & C. s.a.s. - Sede legale: via Bardonecchia, 93 - 10139 - Torino - Italia
Partita IVA/Codice Fiscale: 07241240014 - REA: 876784

Telefono: 0039 011 3835724 - Sito istituzionale: http://www.infogestione.com - Indirizzo di posta elettronica: infogestione@infogestione.com
Proprietà intellettuale di INFOGESTIONE s.a.s.: tutti i diritti sono riservati.

RESPONSABILITÀ - TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI "PRIVACY" - NOTE LEGALI