Progetto per
la condivisione
delle attività di ricerca e
di sperimentazione
didattica, dedicato
alla scuola secondaria
di primo e secondo grado

 

Interviste improbabili - Martin Lutero
Intervista alla docente: Adriana Vasaturo

Di seguito l'intervista alla Prof.ssa Vasaturo, che coordina la sperimentazione relativa alla "Intervista improbabile a Martin Lutero". È una intervista "email", ovvero un dialogo scandito da un carteggio di posta elettronica tra la nostra Ospite e la redazione scientifica di Ididlab, che durerà per buona parte dello svolgimento della sperimentazione e la cui evoluzione potrete seguire in questa sezione.


Ididlab:
"Prof.ssa Vasaturo, perché ha deciso di partecipare al progetto Ididlab?".

Adriana
Vasaturo:

"Quando un progetto, oltre ad essere presentato bene, è presentato da persone di cui si ha immensa stima, la scelta di essere parte di un’azione, che trasformi un’idea progettuale “bella” in pratiche educative “buone”, diventa semplice.
Sono sempre stata affascinata da attività che permettano di mostrare ai ragazzi, e non solo, una strada diversa, che conduca alla costruzione delle conoscenze con consapevolezza. L’esperienza vissuta lo scorso anno da una collega e raccontata con entusiasmo, ha suscitato in me la curiosità necessaria a motivare, mi ha permesso di intravedere una possibilità favorevole alla mia impellente necessità di approfondire le conoscenze disciplinari e al tempo stesso di scoprire metodologie utili a trasmetterle in modo alternativo, stimolando la poco allenata abilità nei ragazzi di porsi buone domande, quelle capaci di farne nascere altre e altre ancora, in un processo continuo di costruzione dell’apprendimento.
La proposta di aderire al progetto ha trovato in me, dunque, un luogo di accoglienza sicuro, per le ragioni finora elencate e per la possibilità che il progetto stesso, per la sua impostazione, mi offriva di riconsiderare e valorizzare il momento dell’osservazione; esso nella mia esperienza lavorativa precedente, nella Scuola dell’Infanzia, aveva avuto un ruolo predominante. Dall’osservazione non può prescindere, a mio parere, nessun tipo di valutazione, nemmeno nei gradi di scuola successivi all’infanzia, in cui spesso l’ansia del programma riduce il tempo destinato all’osservazione, a quello sguardo oggettivo, attento, capace di produrre una documentazione, su cui i protagonisti dell’educazione possano riflettere prima di valutare.
L’intervista improbabile mi è apparsa, sin da subito, un’attività motivante, già nel suo definirsi attraverso un attributo che le dà il senso dell’indefinito e al tempo stesso del possibile, ma ogni possibilità va ricercata, ne va sperimentata la fattibilità, la leggibilità attraverso una ricerca ulteriore. Questa è la parte più stimolante della proposta.
Sono certa che la mia adesione al progetto troverà nella sua fase di attuazione tante altre motivazioni capaci di sostenere le ragioni iniziali e quelle per le quali proseguire con curiosità. ".

Ididlab:
"Come ha presentato ai suoi alunni la partecipazione al progetto e come è stata accolta la sua proposta?".

Adriana
Vasaturo:
"Il progetto, i suoi obiettivi, il pensiero che lo sostiene e che lo rende così operativo e non esclusivamente teorico, così spendibile e non solo sostenuto da buoni propositi, è stato vissuto da me come un’occasione e come una possibilità di crescita.
Sono queste le premesse sulla cui base ho provato a costruire il mio personale modo di procedere nella presentazione e realizzazione del progetto.
Quando mi sono chiesta a chi proporlo e con chi provare a lavorare, il primo pensiero è andato inevitabilmente al prodotto finale, al tentativo di definire il profilo di chi potesse garantirmi un risultato che rispondesse alle mie attese, che mi portasse con meno fatica possibile a sperimentare un territorio mai esplorato, a creare una situazione di lavoro in cui ci fosse il terreno fertile perché si ripetesse, almeno in parte, il successo della sperimentazione fatta lo scorso anno.
Insomma l’ansia da prestazione ha avuto per un po’ la meglio, ma questa visione delle cose è durata il tempo di un pensiero.
Quando ho cominciato a pensare alle classi in cui lavoro, l’idea dell’occasione, della possibilità, del tentativo anche di riscatto, hanno preso il sopravvento sulla necessità tutta personale di essere all’altezza del compito assunto. La proposta è stata presentata quindi ad una classe che viveva e vive tuttora un periodo difficile: la situazione didattico – disciplinare precaria mette quotidianamente a dura prova l’efficacia degli interventi, gli intenti e i propositi falliti creano anche nel corpo docente una frustrazione che limita e frena l’offerta di possibilità, di alternative, di proposte capaci di risvegliare la curiosità e quindi la motivazione.
Il progetto mi è sembrato una buona occasione, una di quelle azioni che, come diceva Bruner, possono perturbare la quiete, perché arrivano per spiazzare, per affermare il contrario di ciò che solitamente si afferma; una buona occasione prima di tutto perché offerta portatrice di improbabilità e poi perché capace di riportare fiducia, da riporre e da meritare.
Ho presentato il progetto come canale attraverso cui poter dimostrare di essere capaci di prendersi un impegno e di portarlo a termine, come luogo privilegiato, non come ulteriore fatica.
I ragazzi hanno riconosciuto la fiducia posta nelle loro possibilità, in un momento in cui era più facile non investire su di loro. Hanno accolto la proposta mostrandosi da una parte riconoscenti e dall’altra pronti a scoprire dove conducono le domande, dove conduce la capacità di mettersi in una posizione di ricerca continua, che è piuttosto lontana dalla loro tendenza a fermarsi alla prima informazione ritenuta utile e sufficiente per dare risposte".

Ididlab:
"Cosa pensano i suoi colleghi della sua scelta di intraprendere tale esperienza?".

Adriana
Vasaturo:
"Un quesito di questo tipo impone ad un professionista riflessivo di soffermarsi su alcuni aspetti fondamentali della vita della scuola e della sua organizzazione.
La comunicazione e la circolazione di un’idea progettuale non è sempre facile, non è sempre scontata la condivisione del pensiero che è dietro un progetto. Se si tratta poi di una sperimentazione a cui pochi prendono parte, per cui si spendono nella fase operativa tempo ed energie anche in ore extrascolastiche, il progetto finisce per essere responsabilità, peso, preoccupazione solo dei pochi eletti sopra citati.
Di fatto avviene qualcosa che, a mio parere, non dovrebbe accadere: l’offerta formativa che la scuola fa agli utenti comprende proposte di cui chi fa la scuola non è sempre a conoscenza.
Io stessa, per mia responsabilità o per i limiti dell’organizzazione di cui faccio parte, mi ritrovo ad essere, certe volte, parte di un corpo smembrato.
Credo che un professionista dell’educazione sia chiamato a fare delle proprie conoscenze, della propria formazione in itinere, delle esperienze che vive, un mondo di risorse da condividere, da mettere a disposizione del contesto in cui opera, al fine di cocostruire intorno al confronto nuove esperienze di formazione; solo così il contenuto del bagaglio culturale del singolo può diventare oggetto di apprendimento e parte di un processo di costruzione circolare delle conoscenze.
Nel caso specifico, la tensione tutta personale verso la buona riuscita di una buona pratica, la concentrazione sulle proprie risorse, da cui attingere per fare bene e per permettere ai ragazzi di essere parte di un percorso di apprendimento in cui sono stati coinvolti, mi hanno preso in modo particolare, sono quindi stata poco impegnata nella comunicazione del senso del progetto; poco impegnata nella parte narrativa, che tanto amo, nel racconto condiviso di ciò che di volta in volta si fa e che aiuta a costruirne il significato.
Certo un limite che emerge è la mancanza del tempo e non un tempo strappato ad altro, ma un tempo dedicato, progettato, entro cui periodicamente possa avvenire il confronto su ciò che si fa e sul come si fa. Un tempo che alla scuola manca e nel tempo che avanza avviene evidentemente una poco equa distribuzione di attenzione, a tal punto che alcuni progetti si conoscono poco o male o addirittura non si conoscono affatto.
Questa lunga premessa mi è sembrata d’obbligo per due motivi: per riconoscere la capacità del quesito di suscitare in me delle riflessioni e per rispetto nei confronti della riflessione da cui non può prescindere la risposta.
Pochi sono i colleghi con i quali mi ritrovo a discutere intorno alle osservazioni che emergono da questa esperienza, la quale mi vede coinvolta come soggetto in formazione e che si fa, allo stesso tempo, strumento attraverso il quale apprendere.
Riconoscono quei pochi la fatica di conciliare una gran quantità di azioni, spesso poco sensate, che affaticano, che trasformano i docenti in burocrati e regalano loro una quantità di frustrazioni, con azioni ricchissime di senso, che necessitano però di un tempo e di energie in più e soprattutto di riconoscimento.
I colleghi più attenti hanno considerato un’opportunità non da poco una simile occasione, che vede i ragazzi coinvolti direttamente nella costruzione del loro sapere, dal reperimento delle informazioni al recupero di abilità già acquisite e di conoscenze pregresse, al lavoro sull’acquisizione di competenze legate all’organizzazione delle informazioni stesse, alla negoziazione dei punti di vista, alle competenze comunicative.
Incuriositi e ispirati dallo spirito di ricerca che muove ogni azione in questa sperimentazione, con alcuni colleghi abbiamo cominciato a progettare qualcosa per il futuro, che prenda spunto dall’occasione che pratiche del genere offrono, per riflettere sulla necessità di cercare modalità alternative per suscitare curiosità e motivazione nei ragazzi.
In questo risiede, secondo me, la parte più produttiva e tutto il buono che può scaturire dall’esempio fornito da una tale buona pratica".

Ididlab:
"La condivisione, il consiglio professionale, la collaborazione tra colleghi e la trasmissione dei risultati dell'attività didattica, corrente e sperimentale, a chi competerebbe nel nostro sistema educativo? Avverte, nella fattispecie, la carenza di riferimenti e di procedure? Quali? Come è considerata la ricerca didattica dal mondo della scuola?".

Adriana
Vasaturo:
"Per rispondere a questo quesito non posso che attingere ai ricordi dei primi anni di insegnamento, quelli in cui tutto è da formare, intorno ad una predisposizione già data a farsi strumento attraverso il quale costruire le conoscenze utili ad un altro individuo.
L’approccio alle menti da formare, la capacità di muoversi con disinvoltura e rispetto tra persone di età diverse, in un contesto fatto di rituali, di osservazioni e di registrazione di esse, questi e tanti altri aspetti della complessa vita del mondo educativo, sono, secondo me, i libri viventi da cui apprendere le pratiche intorno a cui definire poi uno stile di insegnamento.
Se tutto ciò non mi fosse stato trasmesso, se non fosse stato oggetto di condivisione e di riflessione comune il mio modo di agire, se non ci fosse stata un’esperienza più matura, messa più o meno umilmente al servizio di un neofita, in uno scambio che prescinde da chi ha più dato o più ricevuto, non starei qui a parlare della necessità di condividere per poter entrare in terre già esplorate, da riesplorare con gambe, occhi e cuore diversi.
Nel nostro sistema educativo, purtroppo, gli adempimenti prendono il sopravvento sulla riflessione, troppe pratiche burocratiche sottraggono energie alla costruzione del vero significato del nostro quotidiano operare; troppo tempo finisce per essere sottratto alla collegialità vera, quella fatta di condivisione di pratiche e di riflessioni intorno a ciò che si fa concretamente, intorno alle rappresentazioni, importantissime, che ciascuno si fa della scuola e della materialità che la vive.
La collaborazione, però, necessita di tempo, non solo di buona volontà e di senso del dovere e gli spazi entro cui essa può avvenire vanno predisposti, vanno pensati e soprattutto considerati, dall’ alto, indispensabili al pari di tanti progetti a cui si attribuisce più valore e a cui sono destinate ore e spazi.
Raccontare le pratiche ai colleghi, per esempio, dovrebbe essere la premessa necessaria per costruire quella che P. S. Wald e M. S. Castelberry nel loro testo definiscono una comunità professionale che apprende; non dovrebbe essere uno sforzo in più, dovrebbe essere effetto di una visione comune, che va costruita nel tempo, sulla base di procedure che di volta in volta possano diventare dei punti di forza.
Le procedure, come le pratiche, vanno però sperimentate, su di esse i soggetti coinvolti nelle azioni educative si devono interrogare, cercare alternative, trasformare in azione le idee e verificare i risultati.
Diventare, in altre parole, ricercatori: un docente, come diceva Dewey, fa ricerca nella misura in cui sperimenta il pensiero riflessivo; per esserlo bisogna allenare quindi la capacità di coniugare la saggezza professionale, che deriva dall’esperienza sul campo, con i dati della ricerca empirica.
A chi dovrebbe competere tutto ciò?
A chiunque operi nel mondo della scuola. A ciascun insegnante.
Credo sia necessario investire nella formazione in questo senso, destinare ore alla costruzione di comunità professionali di apprendimento e solo la possibilità di raccontare le pratiche e di creare spazi destinati alle biografie professionali permette di predisporre, secondo me, le menti all’apertura, di creare la disponibilità ad imparare l’uno dall’altro.
Ho abitato contesti lavorativi in cui protocolli di ricerca e riferimenti teorici forse mancavano, ma ho avuto la fortuna di percepire la tendenza quasi naturale ad indossare ogni giorno l’abito del docente ricercatore, che si educa attraverso l’osservazione reciproca alla riflessione sulle pratiche e alla negoziazione dei punti di vista. Tutto ciò nella scuola non è scontato, gli sforzi per lavorare in questa direzione credo siano scarsi.
Tutto ciò oggi mi manca!".

Ididlab:
"Torniamo in classe: come ha organizzato le sessioni di lavoro della Redazione Scientifica Remota?".

Adriana
Vasaturo:
"È proprio tutto quello che è avvenuto in classe, tutto ciò che ha suggerito le azioni, le strategie da adottare per risolvere delle situazioni problematiche, gli incontri da organizzare e quelli in cui concludere discorsi rimasti in sospeso, tutto ciò ha reso possibile la stesura, finora avvenuta, di riflessioni per me costruttive, in quanto strade da ripercorrere in futuro per riguardare il proprio lavoro e la documentazione ragionata dell’agire educativo.
È negli incontri con i ragazzi che si è costruito il senso vero del lavoro!
Per cominciare ho preso in prestito dall’esperienza maturata con la Scuola dell’Infanzia quella dell’anticipazione del significato, che viene utilizzata come metodologia per approdare alla prelettura, partendo dalle ipotesi di lettura, che prescindono dal riconoscimento di un codice.
Come prima cosa abbiamo provato quindi ad anticipare il significato di intervista improbabile; la classe, per un progetto parallelo, che aveva come tema l’ascolto attivo, stava lavorando sulle interviste come mezzo attraverso il quale provarsi in esperienze che prevedevano ascolto e sospensione del giudizio, mettendo alla prova abilità nel riportare in maniera oggettiva informazioni che l’intervistato forniva.
Le ipotesi relative all’improbabilità di un’intervista a Martin Lutero metteva in gioco, invece, la possibilità di ascoltare la voce della storia fornita dalle notizie ricercate e al tempo stesso dare voce al protagonista, mettendosi dal suo punto di vista, in maniera talvolta tutt’altro che oggettiva.
Solo dopo questo lavoro di anticipazione del significato della proposta, abbiamo letto insieme gli obiettivi della redazione scientifica remota, abbiamo visionato la pagina di Ididlab, cercato di capire il senso della sperimentazione e quello che nello specifico ci veniva richiesto.
Il primo quesito ha messo subito il gruppo impegnato nel lavoro nelle condizioni di mettersi alla prova rispetto a quanto anticipato negli incontri precedenti; la domanda relativa alla notte del voto di Lutero a Sant’Anna ha visto i ragazzi alle prese con una mole di informazioni, di fronte alla quale erano smarriti e in difficoltà. Ciò la dice lunga sulla incapacità dei cosiddetti nati digitali di gestire il materiale che la rete mette a disposizione, la difficoltà a selezionare e operare una scelta ragionata sulla base della richiesta a cui stanno cercando di dare risposta. Il mio intervento è stato necessario, li ho invitati a leggere più dati, a passare in rassegna più pagine, a segnare le costanti osservate nelle varie fonti consultate, a scegliere poi insieme una delle tesi, tra le varie proposte per spiegare il voto, arricchendola di parti romanzate e argomentazioni valide, costruite con l’obiettivo di avvalorare la tesi stessa.
In più occasioni i ragazzi hanno lavorato individualmente o in sottogruppi per il recupero di notizie relative per esempio alle superstizioni del tempo, all’idea di Dio, al ruolo della Chiesa e alla vita di Lutero. Quando ci si incontrava le informazioni recuperate venivano condivise, discusse, venivano messe a confronto dati simili, cercando di creare sempre il nesso con quanto affermato in precedenza; da questo tipo di lavoro scaturiva poi la stesura delle risposte ai quesiti, stesura che avveniva a più mani o per meglio dire a più voci.
Ogni incontro si apriva sempre con la ripresa dell’argomento trattato in precedenza, con la rilettura di quanto prodotto nell’incontro precedente, come restituzione e anche con l’obiettivo di recuperare informazioni, riportare l’attenzione su riflessioni fatte, provare a rivedere il punto di vista sulla base di nuove notizie raccolte e constatare la crescita nella conoscenza del personaggio, mai slegato dal suo contesto storico e culturale.
Molti incontri sono stati supportati dalla visione di documentari e film, che hanno aiutato a costruire le conoscenze, mettendo i ragazzi di fronte a visioni diverse, talvolta contrastanti e di fronte alla richiesta di una rielaborazione personale, che è risultata spesso la parte più difficile del percorso.
La partecipazione al progetto ha visto impegnato solo un gruppo della classe, ma è stato interessante vedere quest’ultimo impegnato, a conclusione del progetto, nella presentazione del lavoro al resto della classe, mettendo in luce ciò che avevano appreso attraverso il lavoro di ricerca. Hanno sottolineato come la spinta a ricercare sia nata dalla curiosità suscitata, in questo caso, dal reperimento di alcune notizie, dalla sollecitazione continua a porsi domande, a cercare risposte in una posizione di ricerca rinnovata, in una costruzione continua di conoscenze e di senso da attribuire ad un evento storico.
Hanno inoltre sottolineato quanto differente sia stata la modalità di approccio ad un argomento, che di fatto era già stato trattato, perché differente era il contesto in cui avevano operato, lo spazio emotivo e la struttura del gruppo, tutti elementi capaci di agevolare quello spirito di ricerca che ha portato a conoscere tante cose in più, in un modo che non è risultato affatto faticoso, dove la cooperazione e il lavoro di stesura delle risposte in collaborazione hanno permesso ai ragazzi di sentirsi artefici del loro apprendimento".

Ididlab:
"Come ha determinato e misurato la ricaduta didattica dell'attività?".

Adriana
Vasaturo:
Il quesito mi invita sicuramente a considerare quei cambiamenti indotti dalla sperimentazione nei partecipanti, cambiamenti di cui ho avuto la fortuna di essere testimone, cambiamenti in termini di implementazione di nuove conoscenze e competenze o di potenziamento di quelle già possedute, ma credo fortemente che quest’esperienza abbia avuto per alcuni alunni una ricaduta soprattutto in termini di coinvolgimento, di collaborazione costruttiva con i compagni, di condivisione di strumenti e di materiali ricercati. In alcuni casi prendere parte al progetto è stata una possibilità per dimostrare a se stessi e agli altri di poter dare un contributo importante alla realizzazione di qualcosa di altrettanto importante. Sto parlando di lavoro sull’autostima, su cui ho scoperto si può agire coinvolgendo chi meno se lo aspetta in attività a cui si attribuisce valore con le parole e con i fatti, con rappresentazioni concrete che danno anche visibilità ad esperienze, di cui quei ragazzi sentono di essere parte. Alcuni hanno scoperto che a scuola si può di più.
È stata per qualcuno un’occasione anche di riscatto che talvolta il lavoro didattico curricolare fatica ad offrire, per una serie di motivazioni.
Il contesto diverso, il tempo trascorso a scuola in piccolo gruppo, in un tempo altro da quello curricolare, hanno fatto gran parte del lavoro, hanno contribuito a creare motivazione e piacere di apprendere, ma in maniera diversa.
Riporto le parole di alcuni alunni a cui ho chiesto alla fine del percorso di esprimere per iscritto le loro considerazioni sull’esperienza:

Speravo di far parte del progetto e sono contenta che la prof. abbia riconosciuto il mio impegno […] non sono una persona curiosa, ma adesso per lo studio non mi limiterò alle solite notizie, mi interesserò di più agli argomenti, ricercherò…

Con questo lavoro ho sviluppato la capacità di lavorare in gruppo, accettando le idee altrui, senza aver paura di esternare il proprio punto di vista, ho provato a mettermi in gioco sempre in una corsa contro il tempo…

Non è stata solo un’occasione per raccogliere i frutti del lavoro, ma anche per fare i conti col fallimento, ho fatto i conti con il tentativo di coinvolgere un alunno speciale, con bisogno enorme di proposte alternative e stimolanti, che mettessero in risalto abilità e competenze superiori, che fossero capaci di riconoscerne il valore in una dimensione più normale possibile. Non ho usato evidentemente le modalità opportune al caso, non è bastata la volontà e la sensibilità, né la proposta a mio avviso così giusta, ma l’esperienza in generale mi ha certamente illuminato su aspetti che in altri momenti forse non avrei considerato altrettanto importanti, mi ha permesso di fare osservazioni attente e mi ha indicato la strada per riprovarci in altro modo.
Per tornare agli obiettivi specifici dell’attività di ricerca, l’osservazione iniziale degli alunni li vedeva molto immaturi nel reperimento delle informazioni, essi mostravano una totale mancanza di curiosità, di capacità di andare oltre le prime informazioni, una tendenza piuttosto a cercare il nesso puramente linguistico tra la richiesta e i link, il che richiedeva la sollecitazione continua dall’esterno a cercare di cogliere il significato del quesito, l’invito a ricercare attraverso suggerimenti offerti dal quesito stesso nuove chiavi di lettura e quindi agganci e collegamenti non scontati.
Vederli lavorare con più autonomia verso la fine del percorso, analizzando in maniera più critica le fonti, cominciando a non prendere per buono tutto, a selezionare le informazioni sulla base dell’obiettivo che si proponevano, sulla base della risposta che si proponevano di dare nelle vesti di Martin Lutero, mi ha dato la misura dell’avvenuto cambiamento, seppure di poco.
Essendo stato il lavoro condotto in una classe seconda, mi rassicura l’idea di avere ancora tempo il prossimo anno scolastico per poter verificare la ricaduta di questo percorso, formativo per me e per gli alunni, sul reperimento delle informazioni, l’analisi critica di esse, sull’approfondimento e il nesso tra i fatti storici e le persone/i personaggi e il contesto socio culturale.
È stata un’esperienza assolutamente arricchente, di quelle i cui segni si ritrovano nel proprio agire educativo; sarà inevitabile la risonanza di questa avventura formativa nel mio approccio futuro alla dimensione educativa in termini di ricerca, da applicare non solo alla disciplina, ma anche alla dimensione umana, alle dinamiche di gruppo e al contesto organizzativo entro cui un’azione educativa avviene.
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Titolo: "Intervista al docente" - Codice: I170111.1800.DDE.AR.man/ IDID1707111100MANa1 - Autore:
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