Progetto per
la condivisione
delle attività di ricerca e
di sperimentazione
didattica, dedicato
alla scuola secondaria
di primo e secondo grado

 

Interviste improbabili - Giacomo Matteotti
Intervista alla docente: Annalisa Martino

Di seguito l'intervista alla Prof.ssa Martino, che coordina la sperimentazione relativa alla "Intervista improbabile a Giacomo Matteotti". È una intervista "email", ovvero un dialogo scandito da un carteggio di posta elettronica tra la nostra Ospite e la redazione scientifica di Ididlab, che durerà per buona parte dello svolgimento della sperimentazione e la cui evoluzione potrete seguire in questa sezione.


Ididlab:
"Prof.ssa Martino, perché ha deciso di partecipare al progetto Ididlab?".

Annalisa
Martino:

Qualche anno fa ho vissuto un’interessante esperienza di intervista email sul sito de “I Caffè culturali” che mi ha consentito di raccontarmi, dopo aver pubblicato il mio primo romanzo. Ho parlato del mio rapporto con la scrittura, del mio lavoro e della mia idea di comunità scolastica intesa come laboratorio di formazione, di crescita e - perché no? - di gioco che fa bene alla mente e al cuore di chi lo agisce (1). Da ciò è nata una feconda condivisione di punti di vista con Infogestione che mi ha spinto a intraprendere, lo scorso anno scolastico, una nuova esperienza di intervista email. Stavolta indirizzata a un personaggio storico che narrasse, con la sua testimonianza e senza soluzione di continuità, aspetti e problemi, positività e negatività delle società di ieri e di oggi. E che offrisse, con le sue considerazioni, molteplici spunti di riflessione. Insieme a una classe terza, della quale ero insegnante di lettere, ho costituito una redazione remota. Tale gruppo di lavoro, calandosi nei panni e nel pensiero di Giovanni Giolitti, ha dovuto compiere un notevole sforzo di trasposizione storica e culturale, senza perdere, tuttavia, la cognizione del presente.
Quest’anno il progetto ha acquisito una sua veste più articolata, improntata alla ricerca di laboratorio. L’occasione era ghiotta. Da sempre desidero imprimere al mio lavoro di insegnante l’impulso vitale della scoperta. D’altra parte, questo mio desiderio di crescita si è spesso scontrato con le limitazioni imposte da un sistema scolastico progressivamente sacrificato: la ricerca mal si sposa con la riduzione di risorse e con la necessità di far fronte alle numerose emergenze (classi pollaio, alunni portatori di situazioni diversamente critiche, scarsità di mezzi) che costituiscono ormai la norma. Ho fatto allora, come suol dirsi, “ferro e fuoco” per ritagliarmi uno spazio (dando anche, a fondo perso, il mio tempo) che desse l’opportunità ad alcune eccellenze di compiere un’esperienza di didattica attiva. È un discorso, il mio, che rischia di sembrare un tantino elitario e discriminante. Perché avvantaggiare solo le eccellenze e non puntare invece a una didattica più inclusiva? Per il semplice fatto che, a tutt’oggi, a ragion veduta, la scuola, pur fra mille difficoltà, è sempre più attrezzata a un lavoro di recupero, dato l’aumentare della complessità dei problemi in essa presenti. Dimentica a volte che una percentuale, non alta ma pur sempre considerevole, viene “abbandonata” al proprio destino nella convinzione che… tanto, ce la può fare anche da sola. Dare ascolto e soddisfazione a queste minoranze mi è sembrato un sacrosanto atto di giustizia.
Devo dire, infine, che il mio amore per la Storia e la mia ferma convinzione del suo importante ruolo formativo hanno costituito uno stimolo ad intraprendere questa nuova esperienza. Quest’anno il personaggio al centro della nostra intervista improbabile è Giacomo Matteotti, eroe positivo, personaggio forte, modello di coraggio, lealtà e determinazione. L’incarnazione di una politica bella, animata da ideali forti e al servizio del cittadino. Tema ricco di spunti, con i tempi che corrono!


1 Nota dell'autrice:
“Agire qualcosa o qualcuno” nella sua accezione transitiva è un costrutto usato in ambito psicanalitico, sociologico e pedagogico.

Ididlab:
"Dall'esposizione della sua prima risposta e dalla sua nota si evince una profonda tensione a riferirsi a discipline di ambito ed a confrontarsi con le derivanti teorie, per rendere sempre più consapevole ed efficace il suo ruolo di educatrice e di insegnante. Come vive il rapporto con quelle scienze della conoscenza e del comportamento, che influenzano la sua attività sul campo? Si sente componente attiva di un sistema di indagine scientifica e di fruizione consapevole dei risultati?".

Annalisa
Martino:

"Quando mi chiesi, all’inizio della mia avventura scolastica, quali dovessero essere le priorità del mio lavoro, cercai di trarre ispirazione dalle parole di Ludvig Wittgenstein, pensatore austriaco, che avevo avuto modo di conoscere nel mio percorso universitario. Il filosofo sosteneva l’identità tra mondo, inteso come insieme di fatti, e il linguaggio, inteso come totalità di proposizioni che significano questi fatti. Il limite del mio mondo è il limite del mio linguaggio, diceva. Fedele al pensiero del maestro, ho ritenuto che mi sarebbe piaciuto dare centralità all’insegnamento della lingua e al suo armamentario di parole, segni, suoni e simboli, proprio perché la lingua è la raffigurazione logica del mondo e, dunque, elemento fondamentale e imprescindibile della nostra vita. Sul piano dell’indagine scientifica, ciò è stato supporto e bussola, dal momento che mi dovevo misurare tutti i giorni con l’insegnamento della lingua. Senza dimenticare che giocare con le parole, e con la magia delle infinite combinazioni che queste permettono, ha rappresentato per me, in tutti questi anni, fonte di puro divertimento.
Credo in una didattica attiva ma, visto che ho sempre diffidato di un approccio improntato all’approssimazione e allo spontaneismo, mi sono avvicinata via via ad alcune teorie che mi sembravano scientificamente fondanti. In poche parole, malgrado non abbia mai voluto sottovalutarne l’importanza, non ho inteso fare della lezione frontale il fulcro del mio intervento in classe. Non nego che in alcuni momenti sia necessaria. Forse quando si devono tirare le somme di un lavoro, forse nelle fasi in cui occorre erogare uno stimolo diretto a un atto di apprendimento, forse quando i ragazzi mostrano uno spiccato bisogno di contenimento e si aspettano che l’adulto svolga un ruolo taumaturgico.
Tutto vero e tutto sperimentato, ma una didattica improntata all’indagine conoscitiva, ancorché più impegnativa, muove da ben altri presupposti. Folgorante a tal fine fu per me la scoperta del termine scaffolding, usato per la prima volta da Jerome Bruner. Tale termine, che letteralmente significa impalcatura, indica il lavoro di mediazione e di accompagnamento euristico nell’accesso alla conoscenza, compiuto ogni giorno dal docente. La metafora dell’impalcatura ben si attaglia al lavoro dell’insegnante, che aiuta una mente meno esperta a raggiungere un obiettivo, cosi come le impalcature sostengono gli operai dei lavori edilizi.
Sperimentavo tutti i giorni questo approccio e mi accorgevo che era fecondo di risultati interessanti e ricchi sul piano dell’apprendimento. Mi consentiva, per esempio, di aiutare a costruire l’apparato di conoscenze dello studente e, in molti casi, di agire su quello che Vygotskij chiama zona di sviluppo prossimale, di anticipare cioè le fasi del suo sviluppo cognitivo.
Il cognitivismo mi ha illuminato e guidato nel mio viaggio di docente. Le teorie di Piaget, di Bartlett, di Neisseer e la convinzione che la conoscenza altro non è che un processo di costruzione e di interazione tra fattori soggettivi e fattori di realtà mi hanno aiutato a dare, laddove mi è stato possibile, un’impostazione attiva al lavoro della mia classe. Non ho mai voluto perdere di vista la centralità dello studente, anche quando le difficoltà oggettive, le immancabili frustrazioni, le limitazioni logistiche mi spingevano in una direzione verticistica della relazione insegnante allievo. Sarà utopistico, velleitario ma il piacere della scoperta che ravviso nei miei giovani studenti davanti al successo della ricerca è fonte, per me, di grande soddisfazione. E forse è altrettanto pretenzioso – ma, giuro, entusiasmante - da parte mia pensare che la confutazione di una ipotesi non rappresenti un insuccesso da lavare col sangue ma, per dirla come i filosofi della scienza, il punto di partenza di un nuovo paradigma scientifico.
Nel corso della mia esperienza ho imparato a non aver paura dello scarto tra teoria e pratica. So che non sempre è facile fare un passo indietro. È fondamentale però mantenere intatto il senso della realtà, nella convinzione che il pericolo della caduta è sempre presente. L’importante è ammettere con umiltà: ho sbagliato. Rialzarsi sarà un gioco da ragazzi".

Ididlab:
"Ritiene, alla luce di quanto da lei considerato, che un'esperienza come l'applicazione di un dispositivo didattico sperimentale a simulazione di ruolo, quale quello dell'Intervista improbabile, possa essere utile alla sua espressione didattica? In quali termini?".

Annalisa
Martino:
"Come ho già avuto modo di dire, da sempre ho inteso dare alla mia didattica un’impostazione attiva. La costruzione del sapere, il procedere per tentativi ed errori nei processi di apprendimento, la problematizzazione dei dati di realtà hanno rappresentato, nel mio agire professionale, dei punti dai quali mi sono sforzata costantemente di non prescindere. L’utilizzo dell’intervista improbabile si sposa molto bene con le mie convinzioni pedagogiche per una serie di motivi che cercherò di sintetizzare.
Per aderire a questo dispositivo didattico occorre che gli studenti entrino nel personaggio. Ciò implica una serie di operazioni. Prima tra queste, l’acquisizione dei dati riguardanti la biografia e il contesto storico di riferimento. C’è da dire poi che ogni quesito impone un accurato lavoro di riflessione da parte dei ragazzi. Lo sforzo che essi devono compiere consiste nell’operare una mediazione tra ciò che il buon senso suggerisce loro e i fattori culturali, storici e politici che si presume abbiano condizionato il personaggio dell’intervista. Il transfert che si crea con questi presenta, d’altra parte, un’ambivalenza di non poco conto: da una parte determina empatia e quindi verosimiglianza nelle risposte, dall’altro però può dar vita a delle risposte eccessivamente emotive e prive di quella razionalità che ben si attaglia, invece, a un personaggio dalla statura morale e politica elevata.
Occorre aggiungere inoltre che la costruzione di una risposta è un processo piuttosto complicato. È il risultato di sollecitazioni multiple che si incontrano, talvolta si scontrano, si aggiustano reciprocamente, si compensano, si fondono. E cosi facendo, danno vita a nuove intuizioni e arricchiscono il patrimonio di conoscenze di ognuno. Ciò rappresenta un esempio di apprendimento cooperativo che offre occasioni di crescita ai diversi componenti del gruppo. So di ripetermi, ma tengo a sottolineare che un approccio di tipo sociale nei processi di apprendimento può costituire un ottimo dispositivo di anticipazione delle fasi di sviluppo dei singoli allievi.
Voglio ricordare infine che ogni risposta rappresenta una piccola monografia, frutto di un lavoro collettivo che richiede capacità di ascolto, rispetto, attenzione nei confronti dell’altro. Condizioni, queste, che potenziano i livelli di intelligenza emotiva dei ragazzi e diventano propedeutiche ad altre esperienze di laboratorio.
È superfluo, a questo punto, precisare che in tale contesto il mio ruolo si configura come quello dello “scaffolding”- per dirla alla Bruner - del dispositivo facilitatore, della stampella che sostiene gli allievi e favorisce la scoperta, stimola il confronto, ma che non eroga dall’alto verità e certezze di alcun tipo".

Ididlab:
"Come ha proposto questa esperienza alla classe e come è stata accolta dagli allievi?".

Annalisa
Martino:
"Come ho già detto, ho voluto intraprendere questa avventura dell’intervista improbabile per offrire un’opportunità in più a quegli studenti che, a causa delle innumerevoli situazioni critiche spesso presenti in una classe, hanno limitate occasioni di esprimersi e di potenziare il proprio patrimonio di conoscenze. Il mio intento era quello di valorizzare eccellenze nascoste e talvolta soffocate dai problemi che affliggono la nostra scuola.
Insegno storia e geografia in una classe numerosa e complessa che registra livelli medi di attenzione e di interesse non particolarmente alti. La mia scuola si è molto attrezzata in questi anni con misure di compensazione e di inclusione, impiegando notevoli risorse umane e materiali per offrire a tutti uguali opportunità. Ciononostante, non sempre si raggiungono i risultati sperati. La motivazione, in alcuni, continua ad essere scarsa e ciò determina momenti di tensione e di sgradevole disturbo alle lezioni. Ne consegue quella che io definisco, senza ipocrisia, una lesione del diritto allo studio di un numero di studenti che, invece, vorrebbero fruire senza interferenze delle offerte formative della scuola.
Nella mia classe, questa sfortunata (o fortunata, a seconda di come la si veda) fetta di studenti è piuttosto congrua. Si tratta di ragazzi interessati e diligenti, avidi di conoscenze che, però, non riescono ad ottenere sempre quanto si aspettano.
Per queste ragioni ho proposto loro di aderire al progetto dell’intervista improbabile. Avevo già anticipato le mie intenzioni all’inizio dell’anno scolastico, non impedendo al alcun allievo di partecipare. La decisione di aderire al progetto doveva essere espressione di una libera scelta. Naturalmente ho spiegato le ragioni di tale proposta, sottolineandone tutti gli aspetti formativi in essa coinvolti. Ho fatto presente che non sarebbe stato un gioco né un passatempo, ma che avrebbe richiesto non pochi sforzi e molto impegno. Dieci ragazzi – un numero perfetto - hanno aderito e, consapevoli delle fatiche che avrebbero dovuto affrontare, mi hanno manifestato l’interesse a iniziare al più presto. L’entusiasmo dei miei allievi è stato per me fonte di grande soddisfazione e mi ha spronato a credere in questo progetto e a intraprenderlo concretamente. Abbattuta ogni perplessità, fugato ogni dubbio, mi preparavo anch’io a rimboccarmi le maniche e a dare avvio ai lavori".

Ididlab:
"Come è stata accolta dai suoi colleghi e dalla direzione questa sua scelta di collaborare con un istituto di ricerca esterno?".

Annalisa
Martino:
" La scuola è un luogo di condivisione di idee, luogo di scambio di conoscenze, di prestiti e di debiti, di intuizioni e di scoperte. È indubbio che, grazie a ciò, si qualifichi come un luogo che, sul piano intellettuale, arricchisce e fa crescere. Il confronto diventa lo strumento per eccellenza che ci consente di riflettere su quanto facciamo, sui risultati che conseguiamo e su quanto c’è ancora da fare. Ho sempre pensato che il segreto di un buon insegnante consista nel saper “rubare” idee e trovate perché, si sa, non basta conoscere, non basta possedere una cultura enciclopedica, non basta gestire le coordinate linguistiche ed epistemologiche, per muoversi nell’universo specialistico di questa o quella disciplina, né per trattare con gli alunni. Bisogna talvolta fare di necessità virtù.
Nel nostro agire quotidiano, noi insegnanti ci imbattiamo in situazioni non previste dai manuali né dai tomi di letteratura, ma che per la risoluzione delle quali occorrono esperienza e presenza di spirito. Le esperienze di sperimentazione e di laboratorio si configurano come ambienti di apprendimento e di vita nei quali studenti e insegnanti indossano talvolta abiti nuovi e scoprono aspetti inediti delle proprie personalità. Per tale motivo ho sempre accettato con interesse proposte di lavoro come, nella fattispecie, quella dell’intervista improbabile.
C’è da dire, tuttavia, che la scuola si configura sempre più come un apparato molto complesso. Plurime occasioni formative vengono offerte agli studenti. A volte anche troppe e, senza nulla togliere alla qualità di ciò che si propone, tali offerte risultano essere, in taluni casi, non in perfetta sintonia con le finalità dei programmi svolti.
Tutto questo per dire che la pletora di esperienze, così come l’eccessiva burocratizzazione di qualsivoglia operazione didattica, va a nocumento della comunicazione, tanto che si riduce enormemente lo scambio tra insegnanti, che invece dovrebbe essere alla base di qualunque iniziativa si intraprenda.
Analogamente, la mia esperienza dell’intervista improbabile a Giovanni Giolitti, condotta lo scorso anno, così tanto apprezzata da alcuni colleghi, dai genitori, dagli studenti e dalla professoressa Vasaturo che ha financo chiesto di intraprendere il medesimo percorso, non credo che abbia avuto la risonanza che – in piena sincerità e senza presunzione alcuna – meritava.
Né posso dire che quest’anno l’iniziativa dell’intervista improbabile, allargata ai ragazzi di II A, abbia avuto maggiore feedback. La mia collega ed io abbiamo pubblicizzato, ove possibile, il nostro laboratorio e i colleghi che ne sono stati messi al corrente hanno apprezzato e hanno manifestato interesse ad essere edotti sui lavori. Alcuni, a dire il vero, hanno richiesto un futuro coinvolgimento ma, a dirla tutta, il lavoro, che definirei completo per la molteplicità di competenze che esso tocca, non è stato legittimamente supportato. Ma di questo, i docenti, compressi senza tregua da pesanti macigni di impegni, non hanno alcuna responsabilità.

Ididlab:
"Torniamo in classe: come ha organizzato e condotto le sessioni di laboratorio?".

Annalisa
Martino:
"Desidero rispondere al vostro quesito facendo delle distinzioni. Partiamo dalla fase organizzativa. Non è mai facile organizzare operativamente qualsivoglia sessione di laboratorio. Perché sia possibile un lavoro di valorizzazione di eccellenze, talvolta nascoste e pur presenti nelle varie classi, si può contare su un numero di risorse sempre molto limitato. Ho precisato più volte che era mia intenzione dare voce a soggetti un po’ sacrificati in una classe di difficile gestione. Oltre che numericamente impegnativa. Per la realizzazione del mio progetto, ho contato sulla condivisione di alcune ore con un collega che fa da supporto alla classe. Tale insegnante mi ha permesso, a partire dal mese di febbraio, di recarmi, insieme ai miei studenti, una volta alla settimana nel laboratorio di informatica, per svolgere il nostro lavoro. Devo dire, inoltre, che malgrado si sia trattato di sessioni intensive, ci siamo accorti che il tempo a nostra disposizione, fino a fine anno scolastico, non sarebbe bastato. Ragione per la quale abbiamo programmato ben cinque sessioni pomeridiane di due ore ciascuna, al fine di ultimare con calma tutto quanto era stato pianificato. Devo precisare che la scelta dei locali del laboratorio d’informatica ha avuto una sua ratio. Intanto perché in tempo reale, al momento della stesura delle risposte, ogni studente poteva, dalla propria postazione, redigere le risposte comuni e compiere gli aggiustamenti che erano da effettuarsi in corso d’opera. C’è da aggiungere, poi, che l’utilizzo di Internet ci è stato di valido aiuto perché ci ha concesso di reperire e di analizzare, tutti insieme, ottimizzando le sollecitazioni di ciascuno, fonti e documenti. Com’è ovvio dedurre, la fase organizzativa non è disgiunta da quella preparatoria, anzi l’una diventa la cartina al tornasole dell’efficacia dell’altra. In occasione di ogni incontro venivano assegnati i compiti da portare a termine per l’incontro successivo. A titolo esemplificativo, quando abbiamo scelto di ricorrere alla narrazione per illustrare alcune risposte, ogni studente si è dato il compito di produrre un racconto che, ancorché fantastico, contenesse precisi riferimenti storici. L’insegnamento della Storia attraverso la narrazione delle microstorie, ho scoperto, nel corso degli anni, è di grande impatto. Oserei dire infallibile. E il laboratorio svolto me ne ha dato conferma. Analogamente, per rendere contezza delle varie sovrapposizioni tra passato e presente che sono state ipotizzate strada facendo, i ragazzi si sono adoperati a compiere ricerche febbrili sul percorso storico delle democrazie, sul concetto di politica e sulla sua epifania, sui progressi dello stato sociale dai tempi di Mussolini ai giorni nostri e su come tale presenza dello stato sia molto presente in alcune democrazie e del tutto assente sotto altre forme di governo. Si giungeva a scuola con le idee sufficientemente chiare su ciò che ci veniva richiesto e su ciò che bisognava svolgere. La fusione delle idee dava vita alle risposte da formulare, che venivano redatte a turno, di volta in volta, dai singoli studenti".

Ididlab:
"Come hanno interpretato, gli studenti, il ruolo di redazione remota? Qual è il loro rapporto con il mondo dell'informazione?".

Annalisa
Martino:
"Posso affermare con assoluta certezza che i miei alunni hanno vissuto con serietà ed immedesimazione il ruolo di membri della redazione remota. Si è trattato, a mio parere, di un vero e proprio approccio col mondo del giornalismo. Malgrado fossero gli intervistati, sia pure nelle vesti di Matteotti, erano sempre attenti a non personalizzare troppo le risposte. Queste ultime, anzi, venivano supportate da precisi riferimenti storici e da ricerche e documentazioni meticolose. Si sono sentiti, per un po’, cronisti di un'epoca, di cui andavano acquisendo sempre maggiore consapevolezza a mano a mano che si procedeva nel lavoro. Ne erano prova le congetture e le osservazioni che si facevano più robuste e interessanti e ricche di una congruità logica che non poteva non derivare dalla conoscenza critica dei fatti.
Certo, si parla sempre di ragazzi di quattordici anni. È inevitabile che qualche ingenuità, qualche luogo comune, qualche affermazione intessuta di leggende metropolitane siano sfuggiti, ma lo sforzo di rispondere con oggettività e con quella giusta distanza necessaria a chi fa giornalismo, resta un fatto importante. E notevolmente acquisito dai ragazzi.
Il rapporto che i miei studenti hanno con l’informazione e filtrato da quello che si dice in casa, da ciò che si ascolta, dai discorsi degli adulti, dai canali televisivi utilizzati. Il loro viaggio è lungo e c'è molta strada da percorrere. Le loro idee sono in divenire e i loro interessi verso ciò che succede ancora incerti. Tuttavia, il recupero dell’attualità mediante il racconto storico può essere molto fecondo perché genera curiosità e avvia a un’autonomia di giudizio. Il laboratorio svolto ha di sicuro lanciato in tale direzione dei sassolini che lasceranno il segno. Ne sono più che convinta".

Ididlab:
"Come ha determinato e misurato la ricaduta didattica dell'attività?".

Annalisa
Martino:
"Una risposta completa a questo quesito sarò in grado di darla solo tra qualche tempo. Per il momento posso limitarmi alle osservazioni che in parte ho già fatto in questa sede.
Nella conduzione del nostro mestiere, dobbiamo tener conto delle numerose acquisizioni concettuali che giorno per giorno compiono i ragazzi. Tali acquisizioni quasi sempre sono propedeutiche ad argomenti che si svolgeranno in futuro o, come succede in materie come quelle che ho la fortuna di insegnare, sono propedeutiche alla vita, alla formazione di una coscienza civile, all’ispessimento di una dimensione etica. Proprio in questi giorni, per l’esame di licenza media, ho avuto modo di sentire alcuni ragazzi che mi hanno dato una chiara percezione di ciò che era stato seminato nel corso del nostro laboratorio. Essi stessi mi hanno fatto presente che, alla luce di quanto era stato fatto, concetti importanti e pesanti come quelli di democrazia, dittatura, propaganda erano stati assunti con consapevolezza. Sono diventati un loro patrimonio e, proprio per questo, trasferibili da un campo all’altro del sapere e della ricerca. Un filosofo italiano, Dario Antiseri, parlava di leggi di copertura, vale a dire, di leggi universali che vanno ricercate nei fatti storici e che dovrebbero ispirare il lavoro di chi fa e di chi insegna storia. In sostanza, nell’insegnamento di questa disciplina, ciò che è importante non è tanto apprendere il fatto in sé, ma comprendere le leggi che determinano e nelle quali sono riconoscibili gli eventi. Ciò facilita l’apprendimento di argomenti anche più ostici e nello stesso tempo determina quella condizione fondamentale cui ognuno dovrebbe tendere: l’apprendere ad apprendere.
Questa metodologia trova rinforzo nella ricerca sperimentale che i miei studenti, in questo laboratorio, hanno appreso, vissuto e attuato e che è stata pienamente acquisita. Una metodologia che scaturiva non da certezze ma da problemi e che procedeva per tentativi ed errori.
Le scelte delle scuole superiori che tali ragazzi hanno compiuto sono tutte scelte di qualità. Spero che l’intervista improbabile sia stata un tassello significativo nella costruzione del loro patrimonio di competenze. Sono certa che i risultati, già intravisti, non tarderanno a mostrarsi in tutta la loro completezza".
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Titolo: "Intervista alla docente" - Codice: I170111.1800.DDE.AR.man/IDI1706261200MANa1 - Autore:
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