Interviste
improbabili - Giacomo Matteotti
Intervista
alla docente: Annalisa Martino
Di seguito
l'intervista alla Prof.ssa Martino, che coordina la sperimentazione
relativa alla "Intervista improbabile a Giacomo Matteotti".
È una intervista "email", ovvero un dialogo scandito
da un carteggio di posta elettronica tra la nostra Ospite e la redazione
scientifica di Ididlab, che durerà per buona parte dello
svolgimento della sperimentazione e la cui evoluzione potrete seguire
in questa sezione.
Ididlab: |
"Prof.ssa
Martino, perché ha deciso di partecipare al progetto Ididlab?". |
Annalisa
Martino:
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Qualche
anno fa ho vissuto un’interessante esperienza di intervista email
sul sito de “I
Caffè culturali” che mi ha consentito di raccontarmi, dopo
aver pubblicato il mio primo romanzo. Ho parlato del mio rapporto
con la scrittura, del mio lavoro e della mia idea di comunità
scolastica intesa come laboratorio di formazione, di crescita
e - perché no? - di gioco che fa bene alla mente e al cuore di
chi lo agisce (1).
Da ciò è nata una feconda condivisione di punti di vista con Infogestione
che mi ha spinto a intraprendere, lo scorso anno scolastico, una
nuova esperienza di intervista
email. Stavolta indirizzata a un personaggio storico che narrasse,
con la sua testimonianza e senza soluzione di continuità, aspetti
e problemi, positività e negatività delle società di ieri e di
oggi. E che offrisse, con le sue considerazioni, molteplici spunti
di riflessione. Insieme a una classe terza, della quale ero insegnante
di lettere, ho costituito una redazione remota. Tale gruppo di
lavoro, calandosi nei panni e nel pensiero di Giovanni Giolitti,
ha dovuto compiere un notevole sforzo di trasposizione storica
e culturale, senza perdere, tuttavia, la cognizione del presente.
Quest’anno il progetto ha acquisito una sua veste più articolata,
improntata alla ricerca di laboratorio. L’occasione era ghiotta.
Da sempre desidero imprimere al mio lavoro di insegnante l’impulso
vitale della scoperta. D’altra parte, questo mio desiderio di
crescita si è spesso scontrato con le limitazioni imposte da un
sistema scolastico progressivamente sacrificato: la ricerca mal
si sposa con la riduzione di risorse e con la necessità di far
fronte alle numerose emergenze (classi pollaio, alunni portatori
di situazioni diversamente critiche, scarsità di mezzi) che costituiscono
ormai la norma. Ho fatto allora, come suol dirsi, “ferro e fuoco”
per ritagliarmi uno spazio (dando anche, a fondo perso, il mio
tempo) che desse l’opportunità ad alcune eccellenze di compiere
un’esperienza di didattica attiva. È un discorso, il mio, che
rischia di sembrare un tantino elitario e discriminante. Perché
avvantaggiare solo le eccellenze e non puntare invece a una didattica
più inclusiva? Per il semplice fatto che, a tutt’oggi, a ragion
veduta, la scuola, pur fra mille difficoltà, è sempre più attrezzata
a un lavoro di recupero, dato l’aumentare della complessità dei
problemi in essa presenti. Dimentica a volte che una percentuale,
non alta ma pur sempre considerevole, viene “abbandonata” al proprio
destino nella convinzione che… tanto, ce la può fare anche da
sola. Dare ascolto e soddisfazione a queste minoranze mi è sembrato
un sacrosanto atto di giustizia.
Devo dire, infine, che il mio amore per la Storia e la mia ferma
convinzione del suo importante ruolo formativo hanno costituito
uno stimolo ad intraprendere questa nuova esperienza. Quest’anno
il personaggio al centro della nostra intervista improbabile è
Giacomo Matteotti, eroe positivo, personaggio forte, modello di
coraggio, lealtà e determinazione. L’incarnazione di una politica
bella, animata da ideali forti e al servizio del cittadino. Tema
ricco di spunti, con i tempi che corrono!
1 Nota dell'autrice:
“Agire qualcosa o qualcuno” nella sua accezione transitiva è un
costrutto usato in ambito psicanalitico, sociologico e pedagogico.
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Ididlab: |
"Dall'esposizione
della sua prima risposta e dalla sua nota si evince una profonda
tensione a riferirsi a discipline di ambito ed a confrontarsi
con le derivanti teorie, per rendere sempre più consapevole
ed efficace il suo ruolo di educatrice e di insegnante. Come vive
il rapporto con quelle scienze della conoscenza e del comportamento,
che influenzano la sua attività sul campo? Si sente componente
attiva di un sistema di indagine scientifica e di fruizione consapevole
dei risultati?". |
Annalisa
Martino:
|
"Quando
mi chiesi, all’inizio della mia avventura scolastica, quali dovessero
essere le priorità del mio lavoro, cercai di trarre ispirazione
dalle parole di Ludvig Wittgenstein, pensatore austriaco, che
avevo avuto modo di conoscere nel mio percorso universitario.
Il filosofo sosteneva l’identità tra mondo, inteso come insieme
di fatti, e il linguaggio, inteso come totalità di proposizioni
che significano questi fatti. Il limite del mio mondo è il
limite del mio linguaggio, diceva. Fedele al pensiero del
maestro, ho ritenuto che mi sarebbe piaciuto dare centralità all’insegnamento
della lingua e al suo armamentario di parole, segni, suoni e simboli,
proprio perché la lingua è la raffigurazione logica del mondo
e, dunque, elemento fondamentale e imprescindibile della nostra
vita. Sul piano dell’indagine scientifica, ciò è stato supporto
e bussola, dal momento che mi dovevo misurare tutti i giorni con
l’insegnamento della lingua. Senza dimenticare che giocare con
le parole, e con la magia delle infinite combinazioni che queste
permettono, ha rappresentato per me, in tutti questi anni, fonte
di puro divertimento.
Credo in una didattica attiva ma, visto che ho sempre diffidato
di un approccio improntato all’approssimazione e allo spontaneismo,
mi sono avvicinata via via ad alcune teorie che mi sembravano
scientificamente fondanti. In poche parole, malgrado non abbia
mai voluto sottovalutarne l’importanza, non ho inteso fare della
lezione frontale il fulcro del mio intervento in classe. Non nego
che in alcuni momenti sia necessaria. Forse quando si devono tirare
le somme di un lavoro, forse nelle fasi in cui occorre erogare
uno stimolo diretto a un atto di apprendimento, forse quando i
ragazzi mostrano uno spiccato bisogno di contenimento e si aspettano
che l’adulto svolga un ruolo taumaturgico.
Tutto vero e tutto sperimentato, ma una didattica improntata all’indagine
conoscitiva, ancorché più impegnativa, muove da ben altri presupposti.
Folgorante a tal fine fu per me la scoperta del termine scaffolding,
usato per la prima volta da Jerome Bruner. Tale termine, che letteralmente
significa impalcatura, indica il lavoro di mediazione e di accompagnamento
euristico nell’accesso alla conoscenza, compiuto ogni giorno dal
docente. La metafora dell’impalcatura ben si attaglia al lavoro
dell’insegnante, che aiuta una mente meno esperta a raggiungere
un obiettivo, cosi come le impalcature sostengono gli operai dei
lavori edilizi.
Sperimentavo tutti i giorni questo approccio e mi accorgevo che
era fecondo di risultati interessanti e ricchi sul piano dell’apprendimento.
Mi consentiva, per esempio, di aiutare a costruire l’apparato
di conoscenze dello studente e, in molti casi, di agire su quello
che Vygotskij chiama zona di sviluppo prossimale, di anticipare
cioè le fasi del suo sviluppo cognitivo.
Il cognitivismo mi ha illuminato e guidato nel mio viaggio di
docente. Le teorie di Piaget, di Bartlett, di Neisseer e la convinzione
che la conoscenza altro non è che un processo di costruzione e
di interazione tra fattori soggettivi e fattori di realtà mi hanno
aiutato a dare, laddove mi è stato possibile, un’impostazione
attiva al lavoro della mia classe. Non ho mai voluto perdere di
vista la centralità dello studente, anche quando le difficoltà
oggettive, le immancabili frustrazioni, le limitazioni logistiche
mi spingevano in una direzione verticistica della relazione insegnante
allievo. Sarà utopistico, velleitario ma il piacere della scoperta
che ravviso nei miei giovani studenti davanti al successo della
ricerca è fonte, per me, di grande soddisfazione. E forse è altrettanto
pretenzioso – ma, giuro, entusiasmante - da parte mia pensare
che la confutazione di una ipotesi non rappresenti un insuccesso
da lavare col sangue ma, per dirla come i filosofi della scienza,
il punto di partenza di un nuovo paradigma scientifico.
Nel corso della mia esperienza ho imparato a non aver paura dello
scarto tra teoria e pratica. So che non sempre è facile fare un
passo indietro. È fondamentale però mantenere intatto il senso
della realtà, nella convinzione che il pericolo della caduta è
sempre presente. L’importante è ammettere con umiltà: ho
sbagliato. Rialzarsi sarà un gioco da ragazzi".
|
Ididlab: |
"Ritiene,
alla luce di quanto da lei considerato, che un'esperienza come
l'applicazione di un dispositivo didattico sperimentale a simulazione
di ruolo, quale quello dell'Intervista improbabile, possa
essere utile alla sua espressione didattica? In quali termini?". |
Annalisa
Martino: |
"Come
ho già avuto modo di dire, da sempre ho inteso dare alla mia didattica
un’impostazione attiva. La costruzione del sapere, il procedere
per tentativi ed errori nei processi di apprendimento, la problematizzazione
dei dati di realtà hanno rappresentato, nel mio agire professionale,
dei punti dai quali mi sono sforzata costantemente di non prescindere.
L’utilizzo dell’intervista improbabile si sposa molto bene con
le mie convinzioni pedagogiche per una serie di motivi che cercherò
di sintetizzare.
Per aderire a questo dispositivo didattico occorre che gli studenti
entrino nel personaggio. Ciò implica una serie di operazioni.
Prima tra queste, l’acquisizione dei dati riguardanti la biografia
e il contesto storico di riferimento. C’è da dire poi che ogni
quesito impone un accurato lavoro di riflessione da parte dei
ragazzi. Lo sforzo che essi devono compiere consiste nell’operare
una mediazione tra ciò che il buon senso suggerisce loro e i fattori
culturali, storici e politici che si presume abbiano condizionato
il personaggio dell’intervista. Il transfert che si crea con questi
presenta, d’altra parte, un’ambivalenza di non poco conto: da
una parte determina empatia e quindi verosimiglianza nelle risposte,
dall’altro però può dar vita a delle risposte eccessivamente emotive
e prive di quella razionalità che ben si attaglia, invece, a un
personaggio dalla statura morale e politica elevata.
Occorre aggiungere inoltre che la costruzione di una risposta
è un processo piuttosto complicato. È il risultato di sollecitazioni
multiple che si incontrano, talvolta si scontrano, si aggiustano
reciprocamente, si compensano, si fondono. E cosi facendo, danno
vita a nuove intuizioni e arricchiscono il patrimonio di conoscenze
di ognuno. Ciò rappresenta un esempio di apprendimento cooperativo
che offre occasioni di crescita ai diversi componenti del gruppo.
So di ripetermi, ma tengo a sottolineare che un approccio di tipo
sociale nei processi di apprendimento può costituire un ottimo
dispositivo di anticipazione delle fasi di sviluppo dei singoli
allievi.
Voglio ricordare infine che ogni risposta rappresenta una piccola
monografia, frutto di un lavoro collettivo che richiede capacità
di ascolto, rispetto, attenzione nei confronti dell’altro. Condizioni,
queste, che potenziano i livelli di intelligenza emotiva dei ragazzi
e diventano propedeutiche ad altre esperienze di laboratorio.
È superfluo, a questo punto, precisare che in tale contesto il
mio ruolo si configura come quello dello “scaffolding”- per dirla
alla Bruner - del dispositivo facilitatore, della stampella che
sostiene gli allievi e favorisce la scoperta, stimola il confronto,
ma che non eroga dall’alto verità e certezze di alcun tipo".
|
Ididlab: |
"Come
ha proposto questa esperienza alla classe e come è stata
accolta dagli allievi?". |
Annalisa
Martino: |
"Come
ho già detto, ho voluto intraprendere questa avventura dell’intervista
improbabile per offrire un’opportunità in più a quegli studenti
che, a causa delle innumerevoli situazioni critiche spesso presenti
in una classe, hanno limitate occasioni di esprimersi e di potenziare
il proprio patrimonio di conoscenze. Il mio intento era quello
di valorizzare eccellenze nascoste e talvolta soffocate dai problemi
che affliggono la nostra scuola.
Insegno storia e geografia in una classe numerosa e complessa
che registra livelli medi di attenzione e di interesse non particolarmente
alti. La mia scuola si è molto attrezzata in questi anni con misure
di compensazione e di inclusione, impiegando notevoli risorse
umane e materiali per offrire a tutti uguali opportunità. Ciononostante,
non sempre si raggiungono i risultati sperati. La motivazione,
in alcuni, continua ad essere scarsa e ciò determina momenti di
tensione e di sgradevole disturbo alle lezioni. Ne consegue quella
che io definisco, senza ipocrisia, una lesione del diritto allo
studio di un numero di studenti che, invece, vorrebbero fruire
senza interferenze delle offerte formative della scuola.
Nella mia classe, questa sfortunata (o fortunata, a seconda di
come la si veda) fetta di studenti è piuttosto congrua. Si tratta
di ragazzi interessati e diligenti, avidi di conoscenze che, però,
non riescono ad ottenere sempre quanto si aspettano.
Per queste ragioni ho proposto loro di aderire al progetto dell’intervista
improbabile. Avevo già anticipato le mie intenzioni all’inizio
dell’anno scolastico, non impedendo al alcun allievo di partecipare.
La decisione di aderire al progetto doveva essere espressione
di una libera scelta. Naturalmente ho spiegato le ragioni di tale
proposta, sottolineandone tutti gli aspetti formativi in essa
coinvolti. Ho fatto presente che non sarebbe stato un gioco né
un passatempo, ma che avrebbe richiesto non pochi sforzi e molto
impegno. Dieci ragazzi – un numero perfetto - hanno aderito e,
consapevoli delle fatiche che avrebbero dovuto affrontare, mi
hanno manifestato l’interesse a iniziare al più presto. L’entusiasmo
dei miei allievi è stato per me fonte di grande soddisfazione
e mi ha spronato a credere in questo progetto e a intraprenderlo
concretamente. Abbattuta ogni perplessità, fugato ogni dubbio,
mi preparavo anch’io a rimboccarmi le maniche e a dare avvio ai
lavori". |
Ididlab: |
"Come
è stata accolta dai suoi colleghi e dalla direzione questa
sua scelta di collaborare con un istituto di ricerca esterno?". |
Annalisa
Martino: |
"
La scuola è un luogo di condivisione di idee, luogo di scambio
di conoscenze, di prestiti e di debiti, di intuizioni e di scoperte.
È indubbio che, grazie a ciò, si qualifichi come un luogo che,
sul piano intellettuale, arricchisce e fa crescere. Il confronto
diventa lo strumento per eccellenza che ci consente di riflettere
su quanto facciamo, sui risultati che conseguiamo e su quanto
c’è ancora da fare. Ho sempre pensato che il segreto di un buon
insegnante consista nel saper “rubare” idee e trovate perché,
si sa, non basta conoscere, non basta possedere una cultura enciclopedica,
non basta gestire le coordinate linguistiche ed epistemologiche,
per muoversi nell’universo specialistico di questa o quella disciplina,
né per trattare con gli alunni. Bisogna talvolta fare di necessità
virtù.
Nel nostro agire quotidiano, noi insegnanti ci imbattiamo in situazioni
non previste dai manuali né dai tomi di letteratura, ma che per
la risoluzione delle quali occorrono esperienza e presenza di
spirito. Le esperienze di sperimentazione e di laboratorio si
configurano come ambienti di apprendimento e di vita nei quali
studenti e insegnanti indossano talvolta abiti nuovi e scoprono
aspetti inediti delle proprie personalità. Per tale motivo ho
sempre accettato con interesse proposte di lavoro come, nella
fattispecie, quella dell’intervista improbabile.
C’è da dire, tuttavia, che la scuola si configura sempre più come
un apparato molto complesso. Plurime occasioni formative vengono
offerte agli studenti. A volte anche troppe e, senza nulla togliere
alla qualità di ciò che si propone, tali offerte risultano essere,
in taluni casi, non in perfetta sintonia con le finalità dei programmi
svolti.
Tutto questo per dire che la pletora di esperienze, così come
l’eccessiva burocratizzazione di qualsivoglia operazione didattica,
va a nocumento della comunicazione, tanto che si riduce enormemente
lo scambio tra insegnanti, che invece dovrebbe essere alla base
di qualunque iniziativa si intraprenda.
Analogamente, la mia esperienza dell’intervista improbabile a
Giovanni Giolitti, condotta lo scorso anno, così tanto apprezzata
da alcuni colleghi, dai genitori, dagli studenti e dalla professoressa
Vasaturo che ha financo chiesto di intraprendere il medesimo percorso,
non credo che abbia avuto la risonanza che – in piena sincerità
e senza presunzione alcuna – meritava.
Né posso dire che quest’anno l’iniziativa dell’intervista improbabile,
allargata ai ragazzi di II A, abbia avuto maggiore feedback. La
mia collega ed io abbiamo pubblicizzato, ove possibile, il nostro
laboratorio e i colleghi che ne sono stati messi al corrente hanno
apprezzato e hanno manifestato interesse ad essere edotti sui
lavori. Alcuni, a dire il vero, hanno richiesto un futuro coinvolgimento
ma, a dirla tutta, il lavoro, che definirei completo per la molteplicità
di competenze che esso tocca, non è stato legittimamente supportato.
Ma di questo, i docenti, compressi senza tregua da pesanti macigni
di impegni, non hanno alcuna responsabilità. |
Ididlab: |
"Torniamo
in classe: come ha organizzato e condotto le sessioni di laboratorio?". |
Annalisa
Martino: |
"Desidero
rispondere al vostro quesito facendo delle distinzioni. Partiamo
dalla fase organizzativa. Non è mai facile organizzare operativamente
qualsivoglia sessione di laboratorio. Perché sia possibile un
lavoro di valorizzazione di eccellenze, talvolta nascoste e pur
presenti nelle varie classi, si può contare su un numero di risorse
sempre molto limitato. Ho precisato più volte che era mia intenzione
dare voce a soggetti un po’ sacrificati in una classe di difficile
gestione. Oltre che numericamente impegnativa. Per la realizzazione
del mio progetto, ho contato sulla condivisione di alcune ore
con un collega che fa da supporto alla classe. Tale insegnante
mi ha permesso, a partire dal mese di febbraio, di recarmi, insieme
ai miei studenti, una volta alla settimana nel laboratorio di
informatica, per svolgere il nostro lavoro. Devo dire, inoltre,
che malgrado si sia trattato di sessioni intensive, ci siamo accorti
che il tempo a nostra disposizione, fino a fine anno scolastico,
non sarebbe bastato. Ragione per la quale abbiamo programmato
ben cinque sessioni pomeridiane di due ore ciascuna, al fine di
ultimare con calma tutto quanto era stato pianificato. Devo precisare
che la scelta dei locali del laboratorio d’informatica ha avuto
una sua ratio. Intanto perché in tempo reale, al momento della
stesura delle risposte, ogni studente poteva, dalla propria postazione,
redigere le risposte comuni e compiere gli aggiustamenti che erano
da effettuarsi in corso d’opera. C’è da aggiungere, poi, che l’utilizzo
di Internet ci è stato di valido aiuto perché ci ha concesso di
reperire e di analizzare, tutti insieme, ottimizzando le sollecitazioni
di ciascuno, fonti e documenti. Com’è ovvio dedurre, la fase organizzativa
non è disgiunta da quella preparatoria, anzi l’una diventa la
cartina al tornasole dell’efficacia dell’altra. In occasione di
ogni incontro venivano assegnati i compiti da portare a termine
per l’incontro successivo. A titolo esemplificativo, quando abbiamo
scelto di ricorrere alla narrazione per illustrare alcune risposte,
ogni studente si è dato il compito di produrre un racconto che,
ancorché fantastico, contenesse precisi riferimenti storici. L’insegnamento
della Storia attraverso la narrazione delle microstorie, ho scoperto,
nel corso degli anni, è di grande impatto. Oserei dire infallibile.
E il laboratorio svolto me ne ha dato conferma. Analogamente,
per rendere contezza delle varie sovrapposizioni tra passato e
presente che sono state ipotizzate strada facendo, i ragazzi si
sono adoperati a compiere ricerche febbrili sul percorso storico
delle democrazie, sul concetto di politica e sulla sua epifania,
sui progressi dello stato sociale dai tempi di Mussolini ai giorni
nostri e su come tale presenza dello stato sia molto presente
in alcune democrazie e del tutto assente sotto altre forme di
governo. Si giungeva a scuola con le idee sufficientemente chiare
su ciò che ci veniva richiesto e su ciò che bisognava svolgere.
La fusione delle idee dava vita alle risposte da formulare, che
venivano redatte a turno, di volta in volta, dai singoli studenti". |
Ididlab: |
"Come
hanno interpretato, gli studenti, il ruolo di redazione remota?
Qual è il loro rapporto con il mondo dell'informazione?". |
Annalisa
Martino: |
"Posso
affermare con assoluta certezza che i miei alunni hanno vissuto
con serietà ed immedesimazione il ruolo di membri della redazione
remota. Si è trattato, a mio parere, di un vero e proprio approccio
col mondo del giornalismo. Malgrado fossero gli intervistati,
sia pure nelle vesti di Matteotti, erano sempre attenti a non
personalizzare troppo le risposte. Queste ultime, anzi, venivano
supportate da precisi riferimenti storici e da ricerche e documentazioni
meticolose. Si sono sentiti, per un po’, cronisti di un'epoca,
di cui andavano acquisendo sempre maggiore consapevolezza a mano
a mano che si procedeva nel lavoro. Ne erano prova le congetture
e le osservazioni che si facevano più robuste e interessanti e
ricche di una congruità logica che non poteva non derivare dalla
conoscenza critica dei fatti.
Certo, si parla sempre di ragazzi di quattordici anni. È
inevitabile che qualche ingenuità, qualche luogo comune, qualche
affermazione intessuta di leggende metropolitane siano sfuggiti,
ma lo sforzo di rispondere con oggettività e con quella giusta
distanza necessaria a chi fa giornalismo, resta un fatto importante.
E notevolmente acquisito dai ragazzi.
Il rapporto che i miei studenti hanno con l’informazione e filtrato
da quello che si dice in casa, da ciò che si ascolta, dai discorsi
degli adulti, dai canali televisivi utilizzati. Il loro viaggio
è lungo e c'è molta strada da percorrere. Le loro idee sono in
divenire e i loro interessi verso ciò che succede ancora incerti.
Tuttavia, il recupero dell’attualità mediante il racconto storico
può essere molto fecondo perché genera curiosità e avvia a un’autonomia
di giudizio. Il laboratorio svolto ha di sicuro lanciato in tale
direzione dei sassolini che lasceranno il segno. Ne sono più che
convinta". |
Ididlab: |
"Come
ha determinato e misurato la ricaduta didattica dell'attività?". |
Annalisa
Martino: |
"Una
risposta completa a questo quesito sarò in grado di darla solo
tra qualche tempo. Per il momento posso limitarmi alle osservazioni
che in parte ho già fatto in questa sede.
Nella conduzione del nostro mestiere, dobbiamo tener conto delle
numerose acquisizioni concettuali che giorno per giorno compiono
i ragazzi. Tali acquisizioni quasi sempre sono propedeutiche ad
argomenti che si svolgeranno in futuro o, come succede in materie
come quelle che ho la fortuna di insegnare, sono propedeutiche
alla vita, alla formazione di una coscienza civile, all’ispessimento
di una dimensione etica. Proprio in questi giorni, per l’esame
di licenza media, ho avuto modo di sentire alcuni ragazzi che
mi hanno dato una chiara percezione di ciò che era stato seminato
nel corso del nostro laboratorio. Essi stessi mi hanno fatto presente
che, alla luce di quanto era stato fatto, concetti importanti
e pesanti come quelli di democrazia, dittatura, propaganda erano
stati assunti con consapevolezza. Sono diventati un loro patrimonio
e, proprio per questo, trasferibili da un campo all’altro del
sapere e della ricerca. Un filosofo italiano, Dario Antiseri,
parlava di leggi di copertura, vale a dire, di leggi universali
che vanno ricercate nei fatti storici e che dovrebbero ispirare
il lavoro di chi fa e di chi insegna storia. In sostanza, nell’insegnamento
di questa disciplina, ciò che è importante non è tanto apprendere
il fatto in sé, ma comprendere le leggi che determinano e nelle
quali sono riconoscibili gli eventi. Ciò facilita l’apprendimento
di argomenti anche più ostici e nello stesso tempo determina quella
condizione fondamentale cui ognuno dovrebbe tendere: l’apprendere
ad apprendere.
Questa metodologia trova rinforzo nella ricerca sperimentale che
i miei studenti, in questo laboratorio, hanno appreso, vissuto
e attuato e che è stata pienamente acquisita. Una metodologia
che scaturiva non da certezze ma da problemi e che procedeva per
tentativi ed errori.
Le scelte delle scuole superiori che tali ragazzi hanno compiuto
sono tutte scelte di qualità. Spero che l’intervista improbabile
sia stata un tassello significativo nella costruzione del loro
patrimonio di competenze. Sono certa che i risultati, già intravisti,
non tarderanno a mostrarsi in tutta la loro completezza".
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